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Largo Sant’Eufemia

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia
Il tragitto ha inizio sul lato della piazzetta di largo Sant’Eufemia rivolto verso est, che offre un punto di vista privilegiato sul Duomo di Modena, dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1997 assieme alla torre Ghirlandina ed a Piazza Grande.

Sul lato sinistro di via Sant’Eufemia si affaccia una quinta di palazzi del Trecento che inizia con un edificio (casa del curato del Duomo) caratterizzato da piccole arcate “a sporto” (sporgenti), dette pinelle. Questo espediente costruttivo consentiva di ottenere una maggiore estensione dello spazio abitativo rispetto alla base dell’edificio. La necessità di ampliare ulteriormente gli spazi determina una progressiva estensione dell’aggetto dello sporto, la cui esigenza di sostegno trova nel portico un’adeguata soluzione edilizia.
Le “cicatrici” lasciate dalle tamponature di precedenti aperture sulle facciate di questi palazzi testimoniano il passaggio dei tempi e lasciano intravedere le tracce di finestre a sesto acuto, in stile gotico. La travatura in legno della struttura porticata ricorda inoltre come, probabilmente, le prime strutture abitative della Modena medievale fossero prevalentemente lignee; solo in seguito ebbe grande diffusione l’impiego del laterizio come materiale da costruzione.

Il laterizio, cioè la “pietra cotta”, è il materiale da costruzione più usato in città poiché l’argilla, che ne è il principale costituente, è una risorsa ampiamente diffusa in tutto il territorio modenese, sia in collina che in pianura. L’argilla è formata in prevalenza da allumino-silicati e in minor misura da carbonato di calcio con modeste quantità di ossidi di ferro ed acqua. L’argilla è modellabile quando idratata e può quindi essere facilmente lavorata con le mani. Quando è asciutta diventa rigida e quando è sottoposta ad un intenso riscaldamento subisce una trasformazione irreversibile diventando permanentemente solida e compatta.
 Queste proprietà rendono l’argilla uno dei materiali più economici e largamente usati per la produzione di laterizi, piastrelle e ceramiche.

La pavimentazione con cui è lastricato oggi largo Sant’Eufemia riprende in parte lo stile e i materiali che venivano usati in epoca medievale: il lastricato a grandi lastre di pietra, o il selciato con piccoli conci di pietra squadrati o con ciottoli di fiume arrotondati.

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Largo Sant’Eufemia – via Badia

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

Sulla piazzetta di largo Sant’Eufemia si affacciano la chiesa di Sant’Eufemia e il palazzo del Comparto Universitario sede del Dipartimento di Scienze della Terra, del suo Museo Gemma 1786 e della Facoltà di Lettere.
Il palazzo e la chiesa erano parte di una struttura conventuale femminile che le fonti citano a partire dal 1071 come esterna al nucleo urbano ed intitolata a Santa Lucia. La tradizione, in realtà, vorrebbe ricondurre le origini del monastero e della chiesa al 681, quando una pia vedova con sette figlie fondò un ospizio per donne riunite sotto la regola di San Benedetto.
Dopo la soppressione del cenobio, nel 1798, la chiesa fu ridotta a fornace di vetri e, nel 1830, per intercessione dell’arciduca Massimiliano, fratello di Francesco IV d’Austria Este, la chiesa fu restaurata e riaperta al culto. La facciata della chiesa riprende l’aspetto neoclassico di questi ultimi restauri, mentre l’interno mantiene l’impianto secentesco voluto dall’architetto Cristoforo Malagola detto Galaverna.
Nel 1830 questo antico monastero, che si estendeva per tutto l’isolato, fu adibito a diversi usi: prima caserma dei Dragoni Estensi del duca Francesco IV, poi successivamente carcere maschile e femminile, caserma dei Carabinieri e, dal 1895, sede universitaria.
L’attigua via Badia, che delimita verso est largo Sant’Eufemia, è stata dedicata in tempi recenti al cardinale Tommaso Badia, mentre anteriormente sembra fosse denominata “Contrada Badia” in ricordo della badessa che reggeva il convento di Sant’Eufemia. Prima ancora era detta “stradello Rangoni” dal nome della famiglia dei marchesi Rangoni proprietaria del palazzo, oggi noto come Rangoni-Solmi.

Tra X e XI secolo, lo sviluppo urbano di Modena si attua sotto la tutela vescovile secondo un ordinato piano di lottizzazioni che organizzano l’area cittadina in parti modulari lunghe e strette (strigas) ad andamento curvilineo ed ortogonale rispetto allo scorrimento dei canali.
Esempi di strigas si osservano negli isolati compresi tra via Sant’Eufemia (numeri civici 38 e 44 di largo Sant’Eufemia), via Badia, via Carteria e a nord di via Sant’Eufemia. Gli isolati sono composti da lotti delimitati da vie comprese tra i principali canali con al loro interno, nel retro dell’abitazione, una canaletta di scolo (cloaca) che funziona da fognatura e scarico di rifiuti. La successiva tombatura (copertura) delle cloache ha trasformato queste canalette in cortili lunghi e stretti interni alle abitazioni (cavedi), che ancora caratterizzano gran parte dell’edilizia abitativa del centro storico.

I cavedi derivano dalla copertura delle cloache, le canalette che un tempo fungevano da fognatura per gran parte degli edifici del centro storico e scaricavano nei canali. La rete di canali e cloache che attraversa il territorio modenese si sviluppa per oltre 700 km, mentre le sole cloache del centro storico hanno un’estensione complessiva di circa 20 km.

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Via Carteria, la toponomastica

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

La toponomastica stradale è significativa della storia di questi luoghi della Modena medievale ed è utile per ricostruire l’evoluzione storica e urbana di una città che si è adattata in modo quasi spontaneo alla morfologia del territorio e all’intreccio dei canali che l’attraversavano.
Via Carteria si sviluppa lungo la strada che un tempo vedeva scorrere le acque del canale di Baggiovara. Il canale era alimentato dalle acque dei corsi d’acqua che scendevano dall’Appennino e da alcune delle sorgenti della zona intorno a Calle di Luca, da dove entrava in città. La presenza dell’acqua, il cui fluire azionava mulini e favoriva lo sviluppo di opifici, cioè di laboratori artigiani di lavorazione della pelle e del cuoio e, dal ‘400 circa, della carta. Modena era un centro importante per la lavorazione del cuoio, della carta e delle calzature.
Ieri come oggi, l’acqua scorre nel territorio modenese, da sud verso nord, guidata dalla debole pendenza naturale del terreno pari all’1‰.

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Via Carteria, abitazioni e botteghe

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

La tipologia edilizia medievale delle abitazioni popolari, anche nota come lotto gotico, è stata definita “a modulo costante” per la modularità con la quale questi lotti si ripetono in successione con uno sviluppo frontale generalmente lungo 4,5 metri, o a volte multipli.
Di solito questo tipo di edilizia si ripeteva secondo uno schema fisso: al piano terreno si apriva una bottega o laboratorio con a fianco la scala d’ingresso, molto stretta e ripida, che conduceva al piano superiore dove viveva la famiglia in una o due camere e due finestre. Ai piani più alti abitavano le famiglie che giravano attorno all’economia del proprietario: servi, apprendisti, operai ecc.
L’ingresso della bottega era spesso riparato da un portico che consentiva l’esposizione di merci ed il prolungamento dell’ambiente di lavoro al riparo dalle intemperie e dagli estremi stagionali.
Esempi di abitazioni a lotto gotico si possono osservare in diversi tratti del percorso di visita proposto, ma in via Carteria essi assumono un valore particolare per la presenza del modulo della residenza con a fianco il laboratorio artigiano.
La bottega caratterizza fortemente il paesaggio urbano della città medievale. La bottega è un luogo di apprendimento dove si lavora, si impara un mestiere, si produce, ma è anche luogo di scambio di idee, è sede saliente della vita economica e sociale urbana.

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Le vie dei “nobili”

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

A partire dal X-XI secolo, la ripresa demografica, economica e politica di Modena, richiama in città la nuova società urbana formata dai cives (borghesia cittadina che costruisce una propria attività nel “borgo”) e il vecchio mondo feudale, i milites, esponenti dell’aristocrazia del contado e della montagna che si inurbano per partecipare alla vita politica e sociale della città.
La toponomastica delle strade che si incrociano percorrendo via Carteria verso largo San Giacomo testimonia questo movimento di inurbamento che riflette lo sviluppo politico e sociale della città.
Via Bonacorsa o via dei Buonaccorsi costeggia il retro dell’isolato di Sant’Eufemia. Gli edifici porticati che si affacciano sulla via erano della nobile famiglia de’ Bonacursiis che visse a Modena fin dal XIII secolo e alla quale fu legata la poco amata figura di Rinaldo detto Passerino de’ Bonaccolsi, Podestà di Modena nel 1311.
Sulla destra si incontra via de’ Correggi, nobile famiglia modenese, e sulla sinistra via Levizzani, dalla famiglia dei Conti Levizzani il cui nome si deve ricondurre a Levizzano Rangoni, località nei pressi di Castelvetro, dove erano i detentori del castello dal quale furono spodestati per opera dei Rangoni. In questa strada, già in epoca medievale, i Levizzani possedevano delle case poi trasformate nel sontuoso palazzo settecentesco affacciato su corso Canal Chiaro (civico 62).
Via della Vite delimita il lato nord del piazzale dove sorge la chiesa di San Barnaba. Il nome di questa via si origina probabilmente dall’insegna di un’osteria che raffigurava un tralcio di vite. Intorno al Trecento era nota anche come “Contrada da Prignano”, dal nome di nobili famiglie provenienti da Prignano (oggi Prignano sulla Secchia) che qui erano proprietari di case.

Sulle facciate degli edifici si osservano spesso tavelle con riportati i numeri civici risalenti alla suddivisione del territorio urbano di Modena che i funzionari del duca Ercole III d’Este effettuarono per motivi di tassazione nel 1786. Accanto ad una lettera che indicava il quartiere seguiva una numerazione progressiva; ad es. il Palazzo Ducale è contrassegnato da A1.
Alle volte si possono osservare tavelle con numeri affiancati nel caso in cui le due abitazioni vengano ad essere legate ad un unico proprietario. Talvolta sono visibili formelle mariane oppure altre raffiguranti il circolo radiante con i raggi ed il monogramma di Cristo, che vennero probabilmente apposte all’ingresso degli edifici per proteggerne i residenti dopo l’epidemia di colera del 1855 (via della Vite, civico ).

Il piazzale di San Barnaba è delimitato a sud da via Ruggera e via degli Adelardi.
Via Ruggera deriva dalla famiglia Ruggeri che qui possedeva alcune case, ma in precedenza fu anche detta contrada “illorum de Mombaranzono” per la presenza dei signori da Montebaranzone, località in Comune di Prignano sulla Secchia. Dal caseggiato si innalza un’imponente torre quale resto di una torre di avvistamento medievale con la quale i proprietari della casa (numero civico 14) controllavano il corso Canal Chiaro. Questa importante via di comunicazione, che era alimentata da acque chiare, entrava in città presso porta San Francesco, l’accesso alla città rivolto verso il versante della montagna, scorreva davanti al Duomo e si univa al Canal Grande poco oltre la chiesa di San Giorgio (di fronte al Palazzo Ducale).
Via degli Adelardi deriva dalla nobile famiglia modenese alla quale era legata anche la posterla degli Adelardi, una piccola porta secondaria di accesso alla città che fu controllata dalla famiglia fin quando il comune non vi impose il suo controllo intorno al XII secolo.

È noto, che Modena è fondata sopra molti canali. Con questa affermazione Girolamo Tiraboschi apre la voce canales del suo Dizionario topografico-storico degli Stati estensi.
Il territorio della città di Modena è attraversato da una fitta rete di canali, fognature e cloache che si sviluppano per circa 700 km e confluiscono nel Naviglio. Il Canale delle navi che fu scavato nell’XI secolo per volontà del vescovo Conte Eriberto, che governò dal 1071 al 1091.
I canali erano distinti in acque scure, derivanti dai fiumi Secchia o Panaro (Canale di Formigine o Cerca, Canale di Baggiovara, Canal Grande), e in acque chiare, alimentate dalle risorgive (fontanili o fontanazzi) diffuse nelle campagne a sud di Modena. Molte di queste risorgive sgorgavano spontaneamente trasformando in aree acquitrinose i terreni circostanti, i cosiddetti padugli o paduli. Nella zona di San Faustino e tra le attuali viale Amendola e via Panni, erano noti oltre 120 fontanili che alimentavano i canali Chiaro, Modonella, Canalino, d’Abisso, Archirola e Pradella e tanti altri canali minori.

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La chiesa di San Barnaba

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

Antichissima parrocchia documentata dal 1283 (forse costruita intorno al 1189). L’originario impianto della chiesa rispettava l’orientamento liturgico (abside e asse longitudinale della chiesa rivolti verso oriente, nella direzione in cui nasce il sole).
Nel 1558 si insedia a Modena l’ordine dei Padri Minimi di San Francesco di Paola, è a loro che nel 1660 è affidata la ricostruzione della chiesa e del convento, durata circa 10 anni, che cambierà l’orientamento della chiesa per renderla visibile da corso Canal Chiaro. Nel 1681 i Padri di San Francesco di Paola chiedono e ottengono dal duca il permesso di chiudere il canale di Baggiovara, che scorreva antistante la facciata principale. Questo Santo godeva a Modena di una diffusa devozione popolare, in particolare da parte dei duchi d’Este.
L’iconografia di San Francesco di Paola (Paola, Cosenza, 1416 – Francia, 1507) è caratterizzata dall’insegna Charitas circondata da raggi (ben visibile sulla facciata della chiesa anche da corso Canal Chiaro), oltre che dal teschio, dalla corona e da un agnello. Il Santo è raffigurato nella statua posta sulla facciata della chiesa, nella nicchia alla sinistra del portone d’ingresso, in quella a destra è ritratto Sant’Agostino, nelle nicchie superiori, a destra è San Michele Arcangelo e a sinistra è San Barnaba. I recenti restauri a cui è stata sottoposta la chiesa nel 2002 hanno evidenziato come le statue siano stare realizzate in pietra di Vicenza dall’artista veronese Diomiro Cignaroli (1718-1805).

Proseguendo lungo via Carteria si incrocia sulla sinistra via Bertolda, dal nome di un’importante famiglia estintasi. La forma a punta (a spigolo vivo) dell’isola urbana con cui si apre la via è rappresentativa di un campione urbanistico ed edilizio di una città cresciuta spontaneamente lungo le rive dei propri canali.

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San Giacomo

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

Si affaccia sul piazzale una fila di strette abitazioni porticate dall’evidente modulo costruttivo medievale. Alcuni moduli si presentano tra loro aggregati.
La struttura che conserva l’antica forma ecclesiale è l’abside della chiesa di San Giacomo che risale al 1525 circa ed è opera di Bartolomeo Bonascia (Modena, 1450 – 1527). L’originaria chiesa medievale documentata nel Duecento, ma forse anche anteriore, era rivolta verso il piazzale che ne costituiva il sagrato e nel quale trovava sede anche la sua area cimiteriale. La chiesa di San Giacomo ospitava l’altare dedicato a Sant’Eligio, il protettore dei fabbri e dei maniscalchi.

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Da via Stella, il ritorno

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

Il percorso di visita si avvia verso il ritorno lungo via Stella, che probabilmente prende il nome da un’antica osteria o locanda, e incrocia nuovamente via Bertolda costeggiando il palazzo Bertoldi, che verrà poi acquisito dai Malmusi quando la famiglia Bertoldi si estinguerà alla fine del ‘700.
All’imbocco di via Ruggera si può ammirare, sulla sinistra, lo splendido scorcio della chiesa di San Barnaba che mostra ben visibile il motto di San Francesco di Paola: “Charitas”.
Il casamento sull’altro lato di corso Canal Chiaro era il palazzo dei Morano (numero civico ), che, seppur levigato in epoche successive apparteneva a una famiglia che si inurbò a Modena proveniente da Morano, una località in Comune di Prignano sulla Secchia.
Il percorso continua risalendo corso Canal Chiaro, fiancheggiando alcuni dei palazzi signorili appartenuti a nobili famiglie che si inurbarono in città: il palazzo dei “da Fogliano” (numero civico 80), la residenza della nobile famiglia Carandini (numero civico 74), oggi nota come palazzo Maestri, ed il palazzo dei “da Levizzano” (numero civico 62).
Si svolta quindi in via Bonaccorsa e di fronte agli edifici porticati della nobile famiglia de’ Bonacursiis si imbocca via Leodoino.

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Via Leodoino vescovo

Milena Bertacchini, Graziella Martinelli Braglia

Via Leodoino è una denominazione dei primi del secolo scorso che ricorda il vescovo che nel 891 ottenne per primo una particolare concessione dal re d’Italia, Guido di Spoleto, per risollevare le sorti di Modena. Il sovrano autorizzò il vescovo a circondare l’abitato di una struttura fortificata (probabilmente una palizzata) per il raggio di un miglio dalla cattedrale, a scavare fossati, a fondare mulini e a riscuotere pedaggi.

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Tra rarità e curiosità del Museo Universitario Gemma 1786

Milena Bertacchini

Il Museo Universitario Gemma 1786 del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo modenese fonda le sue antiche origini nel Museo di Storia Naturale della Reale Università del Ducato Estense sorto nel 1786. Il patrimonio museale in esso raccolto possiede un valore scientifico, storico e culturale inestimabile.

Meteoriti
Le meteoriti sono frammenti di corpi celesti caduti sulla Terra. Molte di esse si sono formate durante la nascita del sistema solare, circa 4,6 miliardi di anni fa, in seguito a ripetute collisioni fra asteroidi; altre sono sempre state prodotte da collisioni ma fra asteroidi, pianeti o satelliti del sistema solare (Mercurio, Marte, Luna). Più raramente questi corpi possono derivare da esplosioni di corpi celesti.
Le meteoriti vengono identificate con il nome del luogo dove sono cadute o dove sono state ritrovate.
La collezione di meteoriti del Museo Universitario Gemma 1786 si è formata a partire dal 1819 anche in seguito alla fama raggiunta dal meteorite caduto ad Albareto di Modena nel 1766 ed alle donazioni che l’arciduca Massimiliano d’Este fece alla Reale Università di Modena, come i due frammenti del Meteorite di Stannern caduto nel 1808 in quello che allora era territorio austriaco.
Tra il 1840 ed il 1842 fu acquistata la collezione del prof. Tomaselli, che includeva due grossi frammenti del prezioso meteorite caduto ad Albareto di Modena. Oggi il Museo ne conserva un solo esemplare. Nel 1879, il Consorzio Universitario di Modena acquistò la collezione di 4.076 minerali del Cav. Carlo Boni, che comprendeva due campioni del meteorite di 127 kg caduto nel 1492 ad Ensisheim, nella regione francese dell’Alsazia. Recenti studi hanno osservato come uno di questi due campioni sia in realtà un falso!
Le acquisizioni più recenti sono relative a frammenti di meteoriti caduti in Africa, Australia e Sud America. Gli esperti del Museo Universitario Gemma 1786 sono spesso venuti in aiuto dei “cacciatori di meteoriti” locali per determinare i presunti meteoriti da loro raccolti.

Gemme
La collezione “gemme” del Museo Universitario Gemma 1786 comprende pietre preziose e pietre dure, lavorate e semilavorate, provenienti da donazioni e lasciti della Famiglia Estense e di viaggiatori ed amanti delle scienze naturali. il Museo ha ricevuto importanti donazioni da parte di privati cittadini anche in tempi molto recenti. La bellezza delle pietre preziose è esaltata dal taglio, che ne valorizza le caratteristiche, e dalle dimensioni, che si esprimono comunemente in carati. L’opale di fuoco, lo smeraldo, i granati, il topazio, costituiscono alcuni dei campioni più straordinari della collezione; essi possono essere ammirati sia come pietra naturale che come pietra preziosa lavorata. Fanno parte del Museo anche alcune curiosità, come le ricostruzioni, con modelli in vetro, delle gemme ottenute dal taglio del famoso diamante Cullinam, che oggi, in gran parte, adornano lo scettro e la corona dei reali inglesi.

Fossili
Cesare Andrea Papazzoni, Paolo Serventi
Le collezioni paleontologiche presenti presso il Dipartimento di Scienze della Terra sono utilizzate principalmente per l’attività didattica. Nell’aula G è presente una serie di vetrine nelle quali sono esposti alcuni fossili caratteristici dei vari periodi geologici, distribuiti in ordine cronologico dal Paleozoico al Quaternario. Sotto le vetrine, altri esemplari fossili sono ordinati nelle cassettiere, per gruppi sistematici o come esempi dei processi di fossilizzazione.
I fossili esposti sono soprattutto di invertebrati, come ad esempio trilobiti, ammoniti, brachiopodi, bivalvi, ecc. Tra i vertebrati spicca un cranio completo di orso delle caverne del Quaternario.
Altri fossili di vertebrati sono attualmente esposti nella Sala dei Dinosauri in Via Berengario. Qui, oltre ad alcuni scheletri di dinosauri e altri rettili, esiste anche una stanza dedicata ai reperti di proboscidati tra i quali è di particolare interesse uno scheletro di Elephas falconeri, elefante nano del Quaternario della Sicilia.

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Il percorso di racconti di pietra edizione 2012 – Mappa interattiva