Rocce e minerali del territorio emiliano-romagnolo

Tronco fossile mineralizzato a rame nativo (Cu) rinvenuto a Ca’ di Vanni (Frassinoro, Modena)

La terza vetrina che si incontra entrando nella Sala di Rappresentanza del Museo del Dipartimento di Scienze della Terra, e percorrendola in senso orario, è dedicata alla Collezione di Rocce e minerali del territorio emiliano-romagnolo composta da numerosi campioni di minerali e di rocce, alcuni autentiche rarità, provenienti dall’Appennino modenese e reggiano ed, in parte, appartenenti alla Famiglia dei Duchi d’Este.
Gli esemplari esposti, alcuni di singolare bellezza, altri di notevole importanza scientifica, evidenziano la geodiversità che caratterizza questi territori in cui affiorano numerosi e diversi tipi di rocce sedimentarie nelle quali si rinvengono caratteristiche fasi mineralogiche, come calcite (CaCO3), gesso (CaSO4 . 2H2O), quarzo (SiO2) ecc., oppure che presentano i tipici caratteri, sia mineralogici che petrografici, che contraddistinguono le rocce di natura ofiolitica.

Campione di roccia ofiolitica con mineralizzazioni a pirite (FeS2) e calcopirite (CuFeS2) proveniente dall’area mineraria di Ca’ Marsilio (Montecreto, Modena)

Le Ofioliti nell’Appennino settentrionale rappresentano porzioni residuali della crosta oceanica dell’antico ed esteso bacino marino della Tetide, che tra i 140 e i 170 milioni di anni fa (in età Giurassica) si interponeva tra la placca continentale euro-asiatica e quella africana. Dal punto di vista petrografico le Ofioliti rappresentano associazioni di rocce magmatiche basiche e ultrabasiche più o meno alterate (serpentinizzate o metamorfosate), al cui interno si possono incontrare mineralizzazioni e minerali particolari, tra cui il quarzo (SiO2), la calcopirite (CuFeS2), la pirite (FeS2), la datolite [CaB(OH)SiO4] ecc.
Ne sono un tipico esempio le mineralizzazioni a calcopirite e pirite del blocco di ofiolite basaltica proveniente dall’area mineraria di Ca’ Marsilio in Comune di Montecreto (Modena), così come i frammenti di rame nativo raccolto nella Valle del T. Dragone, in Comune di Frassinoro (Modena) o il campione dell’idrotermalite di Sasso de’ Carli o Cinghio dei Diamanti di località Castelluccio di Montese (Modena). Quest’ultimo, costituito da una roccia scura, di aspetto vacuolare e a prevalente composizione dolomitica, si presenta ricoperto da numerosissimi cristalli bipiramidati di quarzo policromo.
L’eccezionale esemplare esposto di tronco fossile mineralizzato a rame nativo (Cu) è stato rinvenuto nel 1964, presso Ca’ di Vanni di Frassinoro (Modena), inglobato in argille grigie varicolori, affioranti a breve distanza da ammassi ofiolitici contenenti mineralizzazioni cuprifere che, nei secoli scorsi, furono ripetutamente sfruttate. Questo reperto vegetale fossile di notevole rarità (uno dei pochi esemplari rinvenuti al mondo) è stato classificato dalla botanica prof. Daria Bertolani Marchetti(1) come Dadoxylon araucarioide, specie arborea tipica e frequente degli ambienti tropicali del Mesozoico (periodo compreso tra 180 e 70 milioni di anni fa).

Campione di datolite di Rossena (Reggio Emilia) della raccolta Doderlein

I vari esemplari esposti di datolite, anche in grandi cristalli, rivestono un importante valore scientifico, sia per il loro specifico interesse mineralogico, sia perché facenti parte dei 160 campioni di minerali che nel 1853 componevano la collezione, raccolta dal grande naturalista Pietro Doderlein, che meritò un importante riconoscimento all’Esposizione Universale di Londra del 1862.
Tra l’ampia varietà di campioni di gesso, la maggior parte proviene dall’Appennino bolognese o reggiano, spiccano la grossa spina di gesso, raccolta in una cava di Zola Predosa (Bologna) e costituita da aggregati fibrosi traslucidi (chiamati sericolite), la cui disposizione allungata richiama quella delle fibre del legno; e un esemplare di gesso selenitico di Vezzano sul Crostolo (Reggio Emilia), costituito da grossi cristalli di lucentezza madreperlacea, geminati (cioè uniti a coppie nelle forme a ferro di lancia o a coda di rondine), i quali si presentano da trasparenti a torbidi per le numerose inclusioni contenute.
Tipici dei ritrovamenti bolognesi delle cave di Porretta Terme sono infine i vari esemplari di quarzo “a tramoggia”, termine che deriva dalle cavità geometriche che si formano parallelamente alle facce del cristallo e che spesso inglobano argilla, acqua o idrocarburi liquidi o gassosi.